17/11/12

I VERI COSTI DELLA POLITICA

In questi giorni stiamo assistendo all’epilogo finale della favola del Neoliberismo. Anche i più strenui difensori dell’ortodossia della scuola di Chicago hanno cominciato ad avere dei ripensamenti (Vedi Giavazzi ) mentre altri continuano ad arrampicarsi sugli specchi, come ad esempio i fermatori del declino di Giannino (qui sbertucciati da Claudio Borghi sul dividendo dell’euro).

Non essendo un economista tuttavia mi interessa mettere in risalto in questa sede, non l’aspetto macroeconomico e gli errori palesi che hanno portato ad una crisi tremenda delle economie occidentali, bensì l’aspetto politico e le  conseguenze sui nostri sistemi democratici.

In primo luogo è doveroso ricordare che, negli anni precedenti al trionfo di Milton Friedman e della sua scuola di Chicago, le economie occidentali avevano conosciuto uno straordinario ciclo espansivo durato dal dopo guerra al 1973. In quegli anni le ricette adottate dalle principali nazioni occidentali furono ispirate da Keynes, senza dubbio il più grande economista del XX secolo.

Guardate per esempio il grafico seguente (tratto dal blog di Alberto Bagnai) per rendervi conto dell’impatto di Keynes sull’economia Americana negli ultimi 50 anni; si vede bene che prima dell’adozione delle politiche Keynesiane i cicli espansivi-recessivi che si susseguivano negli anni oscillavano  in una forchetta del 30%, dopo si dimezzarono. In altre parole durante le crisi le conseguenze di calo di reddito erano meno drammatiche e più facilmente gestibili dallo stato.

Introduciamo adesso alcuni concetti elementari di politica economica per capire la base dei ragionamenti di Keynes. Partiamo dalla definizione di prodotto interno lordo:
                      Y=C+G+I+(X-M)
dove Y è il reddito nazionale, C consumi, I la spesa per investimenti, X le esportazioni, M le importazioni.

Quando noi andiamo a votare fondamentalmente deleghiamo ai nostri rappresentanti la possibilità di manovrare questa equazione elementare. Il fine di queste manovre è cercare di mantenere un equilibrio fra due variabili antitetiche, Inflazione e Disoccupazione.

Vediamo adesso cosa succede in pratica. 
Caso 1: supponiamo di essere in recessione e quindi di voler aumentare Y per combattere la crisi, cosa può fare un governo?

In primo luogo può stimolare C, ossia i consumi riducendo ad esempio l’imposizione fiscale oppure può aumentare la spesa pubblica G.
Se invece si vogliono aumentare gli investimenti I possiamo abbassare i tassi di interesse, cosicché le imprese trovando credito a basso costo sono stimolate ad investire.
Infine abbassando il tasso di cambio della propria valuta un governo può migliorare la bilancia dei pagamenti X-M rendendo le proprie merci più competitive verso l’estero.

Aumentando Y diminuisce la disoccupazione ma aumenta l’inflazione per la semplice legge della domanda e dell’offerta.

Adesso il governo per frenare la crescita dell’inflazione manovra nuovamente l’equazione, ma questa volta in senso opposto(Caso 2). Quindi aumenta l’imposizione fiscale, alza i tassi di interesse per frenare gli investimenti, taglia la spesa pubblica, aumenta il tasso di cambio.
Dopo questa breve divagazione tecnica arriviamo ad oggi ed alla crisi che sta devastando l’Eurozona. In questo momento l’Italia si trova in una situazione di bassa inflazione (2,6% 1,5 al netto dei beni energetici ) ed altissima disoccupazione(11%), soprattutto giovanile(35%), cioè siamo in deflazione.

Siamo quindi nella prima condizione e per di più alla vigilia di una nuova tornata elettorale.
Diligentemente ci recheremo alle urne e chiederemo un cambiamento di governo, un governo di centrosinistra che sappia far ricrescere i nostri redditi attraverso un sana politica di rilancio della economia.

Spingiamoci un po avanti nel tempo e supponiamo che quanto augurato avvenga, Bersani vince le elezioni e si ritrova a manovrare la nostra equazione.
Supponiamo che il nuovo governo vuole aumentare i consumi C attraverso una riduzione fiscale per le fasce più deboli. Come lo finanziamo visto che la crisi ha provocato una diminuzione delle entrate statali oltre che un esplosione del monte interessi? Normalmente  si ricorrebbe al cosidetto deficit spending, cioè si spenderebbe a debito;
Primo ostacolo, dal 1°  gennaio 2013 entrerà in vigore il Fiscal Compact, approvato il 2 marzo 2012 da 25 paesi su 27 dell’Eurozona (Gran Bretagna e Repubblica Ceca non lo hanno ratificato). Esso prevede per l'Italia un vincolo rigidissimo, l’obbligo del pareggio di Bilancio inserito addirittura in costituzione.

Ok abbiamo la seconda variabile su cui giocare la spesa pubblica G. Bersani una volta eletto aumenterà la spesa nella ricerca e nell‘istruzione e così rilancerà l’economia e darà occupazione a migliaia di insegnanti e giovani ricercatori. Non fermeremo il declino, fermeremo la fuga dei Cervelli.
Come finanziamo l’aumento della spesa? Il fiscal compact ci obbliga non solo al pareggio di bilancio ma anche ad una riduzione di un ventesimo dello stock di debito per i prossimi 20 anni. In altre parole il nostro parlamento si è impegnato a tosare 50 miliardi di euro l’anno ai redditi dei cittadini Italiani. Quindi porte sbarrate anche da questo fronte.

Vabbè possiamo sempre rilanciare gli investimenti I abbassando i tassi di interesse. Non proprio, avendo perso la sovranità monetaria i Tassi li decidono a Francoforte ed inoltre nonostante la BCE conceda crediti alle banche all’1% queste non riversano nell’economia reale questa liquidità.

Infine il bravo Bersani può provare a svalutare la nostra moneta per rilanciare l’export italiano. Anche qui sorge un piccolo problema dal 1979 (anno in cui entrammo nello SME) ed adesso con l’euro abbiamo relegato a Francoforte la politica monetaria. Inoltre nonostante una svalutazione dell’euro del 15% nell’ultimo anno non siamo riusciti a migliorare i nostri export in quanto gli squilibri sono più che altro regionali, quindi interni all’Eurozona.

Avete capito quali sono i veri costi della politica? Non le ostriche di Fiorito, (seppur deplorevoli) o la casta corruzione. I costi veri della politica sono le scelte sbagliate fatte dai nostri rappresentanti. Fiorito nel peggiore dei casi ha rubato un milione di euro, quest’anno  solo il salvataggio della Monte dei Paschi da parte del governo Monti ci costerà 3,9 miliardi di euro.
Abbiamo ratificato il MES, il cosiddetto fondo salva stati, il quale ci costerà 126 miliardi di  euro (secondo voi a che serve l’IMU).  Il MES in teoria dovrebbe servire a salvare la Spagna, in realtà  salveremo le sue banche indebitate con le banche Tedesche. Il prossimo grafico rende più chiaro il concetto e per chi volesse approfondire la Prof. Undiemi dell’Università di Palermo da anni si sta battendo su questi temi.
Grafico tratto da http://www.byoblu.com/post/2012/10/18/Un-fiore-sulla-mia-tomba.aspx

Ci rendiamo conto che mentre i media distoglievano l’attenzione dell’opinione pubblica con la storia della casta, in questi anni abbiamo ceduto la nostra sovranità.
Il liberismo non è di sinistra come dice Giavazzi ed Alesina è semplicemente “na sola” e la storia ahimè lo ha dimostrato.
Ing. Andolina Salvatore
 P.S. Ecco i numeri dopo un anno di austerità liberista.







16/11/12

FINANZA/ Borghi: le "svendite" arabe di Monti aumentano il debito italian

lunedì 19 novembre 2012
FINANZA/ Borghi: le svendite arabe di Monti aumentano il debito italiano 

Pubblico un estratto dell'intervista a Claudio Borghi di oggi 19 novembre sulla visita del premier Monti negli Emirati Arabi il contenuto integrale potete trovarlo sul sito di ilsussidiario.net.
 
"Come già visto in passato, siamo costretti a vendere gli asset all’estero a prezzi stracciati dopo che qualcuno ha contribuito ad aggravare la crisi economica italiana. L'aspetto che più di tutti mi lascia perplesso è che non solo dobbiamo svendere i nostri beni, ma sembra che dobbiamo anche essere grati per questo. Vorrei solo ricordare che un diretto investimento estero in Italia è di fatto equivalente a un debito. 

E per questo non ne abbiamo bisogno...

Certo. Faccio un esempio: se un Paese estero acquista una nostra azienda ci troviamo inizialmente con un ingresso immediato di denaro, ma che poi dobbiamo ovviamente restituire sotto forma di utili che lasciano i nostri confini. Vorrei poi anche utilizzare l'esempio del Giappone."
Si spieghi.

Il Giappone si trova in una situazione totalmente opposta rispetto alla nostra: a fronte di un debito molto forte, proprio come il nostro, vanta al contrario un’enorme quantità di investimenti all’estero. Quindi, alla fine, il bilancio giapponese è comunque in positivo proprio grazie ai ritorni degli investimenti fatti fuori dal Paese. Sono convinto che in questo momento l’Italia abbia abbastanza debito e che non sia certamente utile produrne ancora."

LA STABILITÀ È ANCORA UN MIRAGGIO

Pubblico un articolo tratto da lavoce.info dell'economista Paul De Grauwe.

Al summit europeo della scorsa settimana sono state prese alcune decisioni utili e importanti sull'unione bancaria e sulla ricapitalizzazione delle banche. Resta però aperta la domanda se le nuove misure riusciranno a rendere più stabili i mercati dei titoli di stato. Non è certo l'Esm, con 500 miliardi a disposizione, che può assicurare la stabilità. Il suo intervento rischia anzi di destabilizzare ulteriormente i mercati. Solo la Bce può garantire con successo un obiettivo simile, mettendo a disposizione le sue risorse illimitate.
Quello della settimana scorsa è stato l’ennesimo summit europeo da cui ci si aspettava la soluzione della crisi dell’Eurozona. E, in effetti, sono state prese alcune decisioni utili e importanti:
  • una nuova unione bancaria con una autorità di supervisione europea con poteri effettivi; 
  • la possibilità di organizzare ricapitalizzazioni bancarie a livello europeo.
Entrambi sono dei passi avanti, il secondo è di particolare importanza.
Una delle principali debolezze dell’Eurozona risiede nel fatto che i problemi bancari devono essere risolti dai governi del paese in cui le banche hanno sede. Il risultato è che l’insolvenza di istituti locali è una minaccia alla solvibilità dei paesi e ciò porta a un circolo vizioso di crisi bancarie e crisi sovrane. Interrompere questa interconnessione è quindi un elemento chiave per creare una situazione finanziaria più stabile all’interno dell’Eurozona.

UNIONE BANCARIA: IL DIAVOLO È NEI DETTAGLI

La necessità di un meccanismo europeo per la risoluzione delle crisi bancarie è un principio che è finalmente stato accettato. Tuttavia, ora ci troviamo a far fronte a enormi problemi per l’attuazione di questo principio. Quali saranno i poteri di supervisione della Bce? Chi gestirà le banche ricapitalizzate? Cosa accade se è necessario nazionalizzare una banca? Sono solo alcune delle questioni pratiche che si dovranno affrontare.

L’EUROPEAN STABILITY MECHANISM

Vogliamo qui concentrarci, tuttavia, sul nuovo ruolo dell’Esm, altrimenti conosciuto come il fondo salva Stati, che dovrebbe diventare operativo a breve.
L’Esm ha ricevuto due nuovi compiti, che si aggiungono all'assistenza condizionata ai paesi membri:
    • Il primo (di cui ho appena discusso) è la possibilità di ricapitalizzare direttamente le banche in difficoltà.
    • Il secondo è la possibilità di acquistare titoli di Stato europei sui mercati secondari, al fine di evitare ulteriori destabilizzanti aumenti dei tassi di interesse.
Sono obbiettivi di estrema importanza.
Certamente si deve intervenire sull’aumento inesorabile dei tassi di interesse sui titoli di Stato di molti paesi del Sud Europa. Solo in parte è la conseguenza di “cattivi fondamentali”. Per paesi come Italia e Spagna, una parte consistente dell’aumento degli spread è causato da paura e panico nei mercati che hanno il potere di portare gli stati alla bancarotta con una profezia che si autorealizza. (1)
La domanda quindi è se l’Esm sarà in grado di stabilizzare i mercati dei titoli di stato. La mia risposta è no.

PERCHÉ L’ESM NON RIUSCIRÀ A STABILIZZARE I MERCATI

L’Esm ha risorse finanziare pari a 500 miliardi di euro. Se si confrontano queste risorse con l’ammontare del debito italiano, di quasi 2mila miliardi, e con quello spagnolo di 800 miliardi, è immediatamente chiaro che non sarebbe in grado di porre fine a una crisi che coinvolgesse anche solo uno di questi due paesi, figurarsi entrambi.
Ma non solo: non appena l’Esm inizierà a operare, i mercati dei titoli di Stato dei due paesi diverranno ancora più fragili. Supponiamo infatti che una nuova ondata di paura e panico sui mercati, scatenata ad esempio da un aggravarsi della recessione spagnola, provochi un ulteriore incremento dei tassi sui titoli di Stato spagnoli. Per fermarlo, l’Esm inizia ad acquistare titoli di Stato spagnoli. Supponiamo acquisti l’equivalente di 200 milioni di euro di bond spagnoli.
Alla fine dell'operazione sarà chiaro a tutti che le risorse dell’Esm saranno scese da 500 a 300 miliardi. Saranno rimaste meno risorse per far fronte alle crisi future. Gli investitori inizieranno a fare previsioni sul momento in cui l’Esm rimarrà senza fondi. Dopo di che si comporteranno come ci si aspetta si comportino le persone scaltre: inizieranno a vendere i titoli di Stato subito, senza aspettare.
È facile capire il perché. Anticipando il momento in cui l’Esm finirà i fondi a sua disposizione, ci si aspetta un crollo dei prezzi dei titoli di Stato. Per evitare di incorrere in grosse perdite, gli investitori saranno incentivati ad anticipare la vendita dei titoli di stato che detengono, invece di aspettare il momento in cui andranno in perdita. Quindi gli interventi dell’Esm provocheranno le crisi, anziché prevenirle.
È una caratteristica nota dalla letteratura sulle crisi dei tassi di cambio. Il classico modello di Paul Krugman, ad esempio, ha le stesse caratteristiche. (2) Una banca centrale che decide di ancorare il proprio tasso di cambio e ha un limitato ammontare di riserve di valuta estera per difendere la propria moneta dagli attacchi speculativi, si trova di fronte allo stesso problema. A un dato momento l’ammontare di riserve di valuta si esaurisce e la banca centrale non è più in grado di difendere la propria moneta. Gli speculatori non aspettano di arrivare a quella situazione, iniziano le vendite speculative ben prima che la banca centrale esaurisca le riserve, scatenando una crisi che si autorealizza.

SOLO LA BCE PUÒ STABILIZZARE I MERCATI

L’unico modo per stabilizzare i mercati obbligazionari è quello di coinvolgere le Bce, indirettamente dando all’Esm licenza bancaria, in modo che possa attingere dalle risorse delle Bce , oppure attraverso interventi diretti da parte della Banca centrale. (3) Ma i leader europei non hanno potuto (o non hanno voluto) prendere le misure necessarie per stabilizzare l’eurozona.
La Bce è l’unica istituzione in grado di evitare che il panico nei mercati dei titoli governativi porti gli Stati a una situazione di squilibrio, perché è l’unica istituzione che crea moneta, e ha quindi una capacità illimitata di acquistare titoli. Avere risorse illimitate è una condizione necessaria per riuscire a stabilizzare i mercati di titoli di Stato. È l’unico modo per ottenere credibilità sul mercato.
L’anno scorso la Bce ha acquistato titoli di Stato attraverso il Securities Markets Programme, ma lo ha strutturato nel peggior modo possibile: annunciando che sarebbe stato di grandezza e durata limitata, ha replicato la debolezza fatale di una istituzione con risorse limitate e non c’è da sorprendersi che la strategia non abbia funzionato.
L’unica strategia efficace è incentrata sulle risorse illimitate delle Bce. La Banca dovrebbe annunciare un tetto agli spread italiani e spagnoli, poniamo a 300 punti base. La dichiarazione sarebbe pienamente credibile se la Bce fosse disposta a utilizzare tutte le armi a sua disposizione, che sono infinite, per il raggiungimento di questo obbiettivo.
Se la Bce ottiene questo tipo di credibilità sui mercati, crea una interessante opportunità di investimento per gli investitori, che ottengono un premio sui titoli italiani e spagnoli che detengono. Nel frattempo, la Bce garantisce che c’è un minimo prezzo sotto al quale i prezzi dei titoli non scenderanno (il minimo prezzo è l’altra faccia della medaglia del tetto sui tassi). In aggiunta, i 300 punti base diventano una sorta di punizione per i governi italiani e spagnoli e un incentivo a ridurre i loro livelli di debito.
Ma la Bce non è disposta a stabilizzare i mercati finanziari in questo modo. Le ragioni portate a giustificazione del perché la Bce non debba essere un prestatore di ultima istanza sono diverse: molte sono false, alcune sono serie, come per esempio quelle sul rischio di azzardo morale. (4) Tuttavia, il problema di azzardo morale dovrebbe essere gestito da altri nascenti meccanismi – semestre europeo, patto fiscale, sanzioni automatiche, per esempio – che hanno il compito di controllare i debiti e deficit pubblici eccessivi. Il meccanismo di disciplina e sanzioni dovrebbe quindi tranquillizzare la Bce sul rischio di azzardo morale (preoccupazione che peraltro non ha avuto quando ha fornito mille miliardi alle banche a un tasso di interesse agevolato).
[…]
La creazione dell’Efsf e dell’Esm è stata motivata dalla preoccupazione errata della Bce di dover proteggere il proprio bilancio. L’ampliamento delle responsabilità ora affidate all’Esm deve essere visto come un tentativo di mascherare il rifiuto della Bce di assumere il ruolo di guardiano della stabilità finanziaria dell’Eurozona, un ruolo che solo la Bce può ricoprire con successo.

Recensione a “Il Tramonto dell’euro” di Alberto Bagnai

Euro significa de-industrializzazione, anche con le condizioni vessatorie previste dal Fiscal Compact -  Mercato delle valute è l’unico mercato che i neoliberisti vogliono regolamentare -

Euro significa de-industrializzazione, anche con le condizioni vessatorie previste dal Fiscal Compact -  Mercato delle valute è l’unico mercato che i neoliberisti vogliono regolamentare -
 Finalmente qualcuno spiega al popolo come funzionano le politiche dei cambi e i mercati delle valute. Ma Bagnai fa di più: ripercorre e rilegge la storia economica del nostro paese e dell’Eurozona alla luce della scelta compiuta, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, di convergere verso la moneta unica, prima con il propedeutico divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, poi l’ingresso nello Sme, la crisi del 1992 (quando Amato “rubò” il 6‰ dai conti correnti degli italiani), infine l’Euro. E ci spiega ad ogni passo le conseguenze di queste scelte sulle esportazioni, il debito estero, la distribuzione del reddito, ecc, fornendoci chiavi di lettura essenziali per capire il recente e meno recente disastroso passato politico
del nostro paese, e aiutandoci a valutare con maggior cognizione di causa le conseguenze del rimanere ovvero dell’uscire dall’Euro.

Il testo fa giustizia così anche dei luoghi comuni autorazzisti circa “l’Italietta” della “liretta” e delle “svalutazioni competitive”. Le svalutazioni italiane sono state poche e di natura difensiva a seguito di shock esterni avversi (p.e. gli shock petroliferi degli anni ’70), seguiti spesso da rivalutazioni.
Il testo fa giustizia anche dei tanti luoghi comuni legati alla svalutazione, l’inflazione, ecc con cui si cerca di terrorizzare la gente riguardo l’ipotesi di uscita dall’Euro. L’uscita dall’Euro, spiega Bagnai, è non solo possibile, ma sarà comunque inevitabile perché è un progetto insostenibile, e la crisi corrente lo sta dimostrando.

La moneta unica tra aree con diversa produttività è possibile solo a patto di condizioni politiche inesistenti nell’Europa di oggi. D’altro lato la svalutazione reale della nostra economia, è conseguenza diretta dell’impossibilità di riaggiustare in modo automatico, graduale e indolore, lasciando agire il mercato del cambio, le piccole differenze di competitività con la Germania, e che invece si sono accumulate nel corso degli anni.
Questo dato di fatto non muterebbe se la BCE “stampasse moneta” per venire incontro ai problemi di finanziamento del debito pubblico degli stati dell’Eurozona, e neppure se lo facesse senza porvi sopra le condizioni vessatorie previste dal Fiscal Compact. All’interno dell’Euro la prospettiva è quella della deindustrializzazione delle economie più deboli e delle acquisizioni straniere dei nostri asset … fino a quando non saremo dichiarati semplicemente un “onere” e non ci avranno dato il benservito.

Il problema quindi è solo se l’uscita dall’Euro sarà decisa e governata ordinatamente il prima possibile, o se avverrà caoticamente con il paese in ginocchio dopo un disastro tipo greco e dopo il compiuto saccheggio della nostra ricchezza collettiva ad opera della finanza internazionale e del complesso bancario-industriale tedesco.
Soprattutto ci viene spiegata la “razionalità politica” di certe scelte apparentemente tecniche: cambi rigidi o flessibili? chi ci guadagna e chi ci perde, tra paesi e all’interno dei singoli paesi? Il mercato delle valute, legato principalmente all’andamento del commercio estero, è l’unico mercato che i neoliberisti vorrebbero regolamentare con cambi rigidi agganciati a monete forti (vedi Argentina …) invece che lasciar corso anche qui alla legge della domanda e dell’offerta. Perché? Perché così si consentono politiche predatorie da parte degli investitori a danno dei debitori, e dei paesi con maggiore produttività a danno degli altri.

Testi sulle politiche economiche all’interno di un singolo paese già ce ne sono (per esempio “Economia politica” di Massimo Pivetti, dove le implicazioni sociali delle politiche keynesiane e neoliberiste sono ben esplicitate partendo dai fondamentali dell’economia), e così pure sulla finanza internazionale, soprattutto dopo la crisi del 2008, ma le politiche dei cambi e i mercati delle valute finora li avevo visti confinati nella letteratura per specialisti, come meri “problemi tecnici”.
L’effetto complessivo del libro è liberatorio, nel senso che offre strumenti per capire la realtà e incoraggiarci a pensare che il futuro può tornare a dipendere da noi, che non ci sono potenze misteriose ai cui capricci ci dobbiamo piegare, e da placare offrendo sacrifici sempre più pesanti attraverso rituali governati da tecnici-sacerdoti, in realtà sempre più chiaramente apprendisti stregoni al servizio di oligarchie nostrane e straniere.
www.socialistasenzapartito.wordpress.com
Claudio Romanini

13/11/12

Voci dalla Germania: Il giorno in cui la Germania usci' dall'Euro

Voci dalla Germania: Il giorno in cui la Germania usci' dall'Euro: E se la Germania desse ascolto agli euroscettici ed uscisse dall'Euro? Risponde Die Zeit, che si diverte a descrivere gli effetti nefasti...

Voci dall'estero: Il Costo del Federalismo nell'Eurozona

Voci dall'estero: Il Costo del Federalismo nell'Eurozona: Un chiarissimo articolo di Jacques Sapir   che, fatti due conti,  dimostra come il "Più Europa" sia solo un castello in aria per sognator...