10/03/13

Nemici e Traditori


Ieri sera all’ultima parola il blogger Mario Adinolfi, balzato alle cronache per essere passato dai rottamatori del PD ai rottamati della lista Monti, si è ancora una volta sperticato nell’apologia del modello tedesco. Per giustificare la validità del suddetto modello ha parlato del cuneo fiscale e della necessità di ridurre la quota gravante sui lavoratori.
Ricordiamo che il cuneo fiscale  rappresenta la differenza tra l'onere del costo del lavoro e il reddito effettivo percepito dal lavoratore, ed effettivamente l’Italia con il 47,6% si piazza ai primi posti fra i paesi Europei in cui quest’onere è maggiore. Ok, Houston abbiamo un problema.

Guardando i dati con attenzione tuttavia si nota come proprio la Germania, cioè il paese citato a modello, abbia con il 49.8, dopo il Belgio, l’onere più alto tra i paesi 
Europei.
Come fanno allora i tedeschi a competere con un cuneo così alto e per di più secondo il disinformatore Adinolfi maggiormente sbilanciato in favore dei lavoratori? 


Naturalmente le cose non stanno così; infatti la Germania ha si uno dei più alti cunei fiscali d’Europa, ma è totalmente sbilanciato a favore delle imprese e non dei lavoratori. In Germania infatti su 100 euro di retribuzione netta in busta, il lavoratore ne versa 66,3 quali trattenute, contro i 32,9 versati dalle imprese. In Italia invece i lavoratori ne versano 44,5 mentre le imprese 46,4. In altre parole anche da questo punto di vista salta agli occhi la strategia mercantilista tedesca basata sul contenimento dei consumi, grazie ad un abile politica di moderazione salariale. 
Come al solito la locomotiva ha tirato nel verso sbagliato.

Qui sotto potete vedere come in Italia, Francia e Spagna gli oneri a carico delle aziende sono superiori rispetto alle trattenute dei lavoratori; al contrario i lavoratori tedeschi sostengono un onere più che doppio rispetto alle imprese e rispetto soprattutto ai colleghi inglesi.




Ciò che dovrebbe invece indignare maggiormente un osservatore attento e non in malafede è la presenza di un divario così ampio e variegato all’interno di paesi che si sono dotati di una moneta unica. Il problema  non è di per se l’ampiezza del cuneo, bensì l’assenza di una sua armonizzazione fra i 17 paesi dell’unione monetaria. Queste divergenze sono la causa della crisi dell’Eurozona in quanto determinano, come più volte ricordato, squilibri nella bilancia dei pagamenti e non potendo svalutare la moneta, per riequilibrare questi squilibri, si cercherà sempre di svalutare il salario.
Al blogger pokerista, preferiamo l’economista Hans-Werner Sinn il quale almeno parla chiaro e ci dice che “il ritorno alla competività passa attraverso l’austerità e la moderazione salariale come fece la Germania con Agenda 2000 di Schroeder”. 

Siamo in guerra si sa ed ai traditori preferiamo di gran lunga i nemici.

27/02/13

Numeri in libertà

Un mio storify su una discussione avuta col giornalista di Repubblica Vittorio Zucconi su twitter.

26/02/13

Gabbie Salariali 2.0

Pubblico un mio articolo apparso sul blog Unstable Economy, http://unstableeconomy.wordpress.com/2013/02/25/gabbie-salariali-2-0/.


Il 2 dicembre del 1968 ad Avola, la mia città, due bracciantiAngelo Sigona e Giuseppe Scibilia furono uccisi dai reparti della celere inviati dal prefetto D’Urso per liberare  dai blocchi stradali la principale arteria di collegamento della Città. Quegli episodi, balzati alla storia col nome di “ I fatti di Avola”, diedero il via ai movimenti di rivendicazione dei lavoratori che sfoceranno nel maggio del 70 nell’introduzione dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”).
Uno degli elementi cardine di quelle proteste, fu la lotta alle cosiddette “ Gabbie salariali”, cioè a quei sistemi di indicizzazione e differenziazione regionale del salario del lavoratore in base al costo della vita.
L’Italia era divisa in 14 zone. Nel 1961 poi le zone erano state dimezzate e viene prevista una diminuzione dello scarto tra la prima e l’ultima dal 29 al 20 per cento.
Il paradosso era che, queste differenze nelle retribuzioni non riguardavano solo il Nord ed il Sud Italia, bensì  all’interno della stessa provincia, i braccianti di Lentini ricevevano una retribuzione più alta rispetto agli Avolesi, sebbene le due città distano meno di 50 km.
Le divergenze nei tassi di inflazione fra le diverse regioni già allora erano sintomo del fatto che l’Italia, come del resto l’UE, non è un area valutaria ottimale, e che quindi anziché differenziare i salari era necessaria una più profonda politica di trasferimenti, in modo da correggere gli squilibri regionali. Comunque, sebbene profondamente discriminatorie, quelle misure portavano ad un aumento del costo del lavoro nelle zone a maggiore inflazione e più produttive del paese.
Sembrerà strano, ma l’idea che sta alla base delle gabbie salariali, è quantomai attuale e non perché fa parte degli sproloqui recenti di Calderoli.
Con l’introduzione della moneta unica di fatto, ognuno dei 12 paesi aderenti ha mantenuto un proprio mercato del lavoro, proprie legislazioni e differenti livelli di tutela, in altre parole gli stati sono diventati delle enormi gabbie per i salari dei lavoratori.
Qual’è la differenza sostanziale con ciò che accadde nel 68?
La principale differenza è che allora lo stato poteva correggere, attraverso la fiscalità generale, gli squilibri regionali e di conseguenza questi squilibri non si tramutavano in una crisi di debito. La Sicilia non doveva rifinanziarsi a tassi più alti rispetto alla Lombardia, come adesso accade all’Italia o alla Grecia.
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Aver introdotto la moneta unica senza aver uniformato i mercati del lavoro, obbliga i paesi a giocare una stupida guerra mercantilista, in cui è più bravo chi riesce a deflazionare i salari maggiormente. Avete sentito il monito di Fassina? Non potendo svalutare la moneta si svaluta il salario!
Paradossalmente i più bravi in tal senso sono stati i tedeschi i quali hanno costruito il successo del loro export, su una politica di moderazione salariale. Secondo quanto comunicato da Eurostat il 20 dicembre 2012, la Germania con il 22.2 % ha la quota piu’ alta di lavoratori con un basso salario di tutta l’Europa occidentale. In Francia sono solo il 6.1 %, nei paesi scandinavi fra il 2.5 % e il 7.7 % mentre la media dell’Eurozona è del 14.8 %.
In altre parole assistiamo al paradosso per cui i salari sono cresciuti meno in paesi in cui la produttività è aumentata considerevolmente e l’irrazzionalità di tale dinamica è spiegabile esclusivamente con la palese volontà non cooperativa mostrata in questi anni dalla Germania e dai suoi governanti. Lo ricorda recentemente Martin Wolf sul Finacial Times “è diventata un campione delle esportazioni e ha grandi surplus esteri, ma i salari reali e i redditi sono stati repressi.”
Nel momento in cui tali dinamiche hanno portato all’implosione del nostro continente la sinistra potrebbe far proprie le battaglie per l’istituzione di uno standard retributivo Europeo. In questo modo si arresterebbe ogni tentazione deflazionistica e non cooperativa fra gli stati membri, ed inoltre si riuscirebbe ad eliminare una delle principali concause della crisi stessa. Siamo infatti dinnanzi ad un crisi di domanda, ed in modo particolare il paese che per vocazione doveva fungere da traino non solo ha spinto nel verso sbagliato, ma adesso impone politiche deflattive attraverso l’austerity ai propri partner.
Mentre la Cina ha trainato il boom dei paesi del sud-est asiatico, grazie all’importazione di semilavorati, condividendo quindi il suo surplus con le economie attigue, la Germania contraendo la sua domanda interna lo ha sistematicamente evitato.  Basti pensare che la Germania presenta debole surplus (1% )  con il resto del mondo, mentre registra forti saldi positivi con i paesi dell’UE(6%).
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Naturalmente, in base alla tipica concezione moralistica vigente in Italia, svalutare la moneta è sleale, un tipico atteggiamento del meridionale furbo che non vuole fare le famigerate riforme, mentre svalutare il salario ti dà credibilità, specialmente se abbinato al loden. Allo stesso modo il surplus è uno squilibrio così come lo è un deficit.
Questa è la prima evidente anomalia di un unione nata per motivazioni politiche, anziché macroeconomiche, nelle prossime settimane approfondiremo le altre.

10/02/13

Li Sbraneremo?

La vicenda Monte dei paschi di Siena rappresenta sotto molti aspetti un paradosso che ben riflette i limiti della nostra classe politica.
I fatti sono noti, nel 2007 viene acquisita a caro prezzo Antonveneta pagando 9 miliardi al Banco Di Santander per una banca acquistata tre mesi prima a 6,6. Fu il tempismo a fregare Mussari, quell'acquisizione a caro prezzo rappresentò un pesante fardello  dopo lo scoppio della crisi dei subprime e portò rapidamente l’istituto senese alla sofferenza. Il 6 maggio 2012 la trasmissione Report mette in evidenza con un servizio firmato da Paolo Mondani i dettagli di quell’operazione. Successivamente, il governo Monti nel consiglio dei ministri del 26 giugno concede alla banca 3,9 miliardi di euro per evitare il fallimento attraverso i cosiddetti Monti bond, emissioni obbligazionarie della banca che verranno sottoscritte dal ministero del Tesoro. 

Arriviamo al primo paradosso, i fatti erano noti da tempo, il governo aveva già deliberato il salvataggio 6 mesi prima ed un ‘inchiesta giornalistica aveva già svelato i retroscena dell’operazione, allora come si spiega che l’indignazione popolare si solleva soltanto ad un mese dalle elezioni? E’ evidente che il PD è il bersaglio di una strategia che vuole a tutti costi portare il paese all’ingovernabilità. 
Il secondo aspetto ancora più sorprendente è relativo al falso mito secondo cui il PD da sempre controllerebbe le strategie della banca. Nel 2005, qualcuno forse ha già dimenticato, si  è consumato un conflitto storico fra Siena e Bologna; Unipol, gruppo assicurativo allora guidato da Consorte, voleva acquisire BNL in modo da dare finalmente rappresentanza  al mondo cooperativo emiliano all’interno del sistema bancario italiano. Unipol forte della liquidità acquisita anche grazie ai cospicui utili registrati (Consorte lasciò la compagnia con 300 milioni di utile e 6,2 miliardi di patrimonio) voleva acquisire BNL e cercava partner per l’operazione. L’interlocutore naturale, in base alla presunta appartenenza politica, doveva essere MPS la quale con un esborso di 4,8 miliardi di euro poteva arrivare al 60% della BNL diventando il più grande gruppo bancario Italiano, lo ricorda lo stesso consorte in un intervista al fatto quotidiano.
 I dirigenti senesi si opposero a quell’iniziativa rispondendo: “a Siena abbiamo le calcolatrici”. In altre parole volevano far capire ai compagni bolognesi che loro a  Siena i conti li sanno fare bene e l’operazione non era conveniente. Tuttavia quando 2 anni dopo pagarono 9 miliardi per una banca venduta 3 mesi prima a 6,6 le stesse calcolatrici misteriosamente avevano smesso di funzionare.Così si esprime Consorte:
“Le racconterò una cosa che smentisce seccamente questa storia delle calcolatrici”, dice Consorte. “Nell’aprile 2005 io e il vicepresidente Ivano Sacchetti abbiamo proposto a Mussari di fare lui l’operazione: un’opa su Bnl in contanti che gli avrebbe permesso di arrivare attorno al 60 per cento e avere così il controllo della banca. Avevo calcolato che gli sarebbe costato 4,8 miliardi. Alla fine, Mussari avrebbe fuso Mps con Bnl e il Monte Paschi sarebbe diventato la più grande banca italiana. A noi avrebbe dato due o trecento filiali che avrebbero razionalizzato la sua rete e fatto crescere la nostra Unipol Banca. Sa la verità? Ero già d’accordo con l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Anzi, era stato lui a chiederci di fare l’operazione, così da fermare i baschi di Bbva, il Banco di Bilbao che aveva lanciato una Ops (offerta pubblica di scambio) per conquistare Bnl.
Per capirci chi attacca oggi il PD per la vicenda MPS sono gli stessi che 7 anni fa attaccavano i DS e Fassino sul caso UNIPOL; ricordate la famosa intercettazione di Fassino, “Abbiamo una Banca?” Ma allora se il PD controllava l’MPS perchè l’istituto Senese si rifiutò di partecipare con UNIPOL alla scalata BNL? 

Paolo Cirino pomicino ad esempio recentemente ha spiegato come già “ Nel 2002 ci fu un tentativo, d'intesa con la Banca d'Italia, di fondere Montepaschi e Bnl che rispondeva a quel criterio smarrito per strada e che puntava a far poli creditizi forti prima di privatizzare.
A questa fusione si oppose, tra gli altri, Franco Bassanini in nome della cosiddetta "senesità" del Montepaschi, ma più ancora nell'interesse della finanza francese. E sempre lo stesso Bassanini fece una guerra senza quartiere contro la scalata Unipol-Mps per la conquista della Bnl che doveva essere regalata ai francesi di Bnp Paribas da un gruppo di pressione guidato da Amato e dallo stesso Bassanini.
In poche parole Pomicino ci spiega come le vere influenze senesi provengono d’oltralpe ed individua nel duo Amato-Bassanini i referenti locali di quelle operazioni. Bassanini è attualmente presidente della Cassa depositi e Prestiti dal 2008, con il benestare dell’allora ministro del tesoro Tremonti, azionista con il 70% dell’istituto.
La cosa tuttavia che mi indigna maggiormente è che dall’attacco al PD ne scaturisce un attacco ancora più massiccio allo stato responsabile del fallimento a causa dell’ingerenza della politica nella gestione degli istituti.
Cioè si offre ai cittadini una versione edulcorata della realtà che deresponsabilizza il comportamento del management e del sistema finanziario. In altre parole in Italia, come nel mondo il problema non è rappresentato dall’ingerenza della politica nella gestione bancaria, casomai è vero il contrario cioè che il sistema finanziario condiziona,in maniera sempre più stringente, le scelte dei governi . Alla base della tragedia MPS vi è infatti il mito della grandezza, del “too big to fail”,  solo in questo modo infatti si riesce a realizzare l’obbiettivo di privatizzare i profitti socializzando le perdite. Le grandi fusioni bancarie sono servite a questo, sono servite a rendere l’intervento dei governi necessario qualora il management combini disastri, ma in questo modo si sono scaricate sui contribuenti le perdite, mentre gli azionisti nel passato accumulavano dividendi. Insomma Keynes per le banche Friedman per il popolo.

Ora se i problemi li crea l’ingerenza dello stato nel sistema bancario perchè l’MPS non è  mai saltata in aria dal 1472, cioè quando lo stato la controllava in maniera ancora più stringente?

Molti infatti dimenticano che “nei primi anni Novanta il Mps viene privatizzato, come l’intero sistema bancario italiano, attraverso le Fondazioni bancarie (società miste pubblico-private senza fini di lucro, secondo la Sentenza n. 300/2003 della Consulta), che ne assumono il controllo azionario. A fine decennio, non vi sarà praticamente più alcuna banca pubblica (mentre ancora all’inizio degli anni Novanta il 73% del sistema bancario italiano era in mano pubblica).

Quindi il nostro sistema bancario, come del resto il nostro sistema industriale, è uscito con le gambe rotte dalla stagione delle allegre privatizzazioni, e le contraddizioni sono scoppiate non appena si è verificato uno shock esterno, come la crsi dei subprime americani nel 2006. Ciò che è cambiato, dopo il riassetto del nostro sistema a seguito delle privatizzazioni fu il prevalere della logica del profitto a breve termine, attraverso l’inseguimento del valore del titolo in borsa, al cui tra l’altro sono collegate le remunerazioni del management; questa strategia comune in tutto il mondo, ha portato alla creazione di continue bolle, dalla new economy a quella immobiliare, e ogni qualvolta queste bolle sono scoppiate ai contribuenti è andato l’onere di ripianare le perdite. 
Come afferma il Porf Brancaccio :
“L’unica soluzione razionale, a questo punto, dovrebbe esser quella di avviare immediatamente un percorso verso la nazionalizzazione dell’istituto. Le ricerche più recenti evidenziano che le banche di proprietà pubblica possono erogare credito a condizioni più favorevoli e soprattutto in un’ottica di più lungo periodo, servendo così meglio il territorio in cui operano, e senza lasciarsi condizionare da tentazioni di tipo più o meno smaccatamente speculativo.”
Per comprendere ulteriormente, come la crisi del sistema bancario non sia dovuta all’ingerenza politica, basta considerare che  uno studio di Mediobanca ha aggiornato il costo degli aiuti pubblici forniti alle banche di Europa e Stati Uniti: in 4 anni 4.700 miliardi di euro, più o meno il Pil di Germania e Francia messe insieme. L’analisi parte dal fallimento di Lehmanh Brothers e arriva sino al novembre 2011.
GLI AIUTI PUBBLICI
Nella seguente tabella i dati.

PAESE
MILIARDI DI EURO
PAESE
MILIARDI DI EURO
STATI UNITI
2.230,50
DANIMARCA
40,30
GRAN BRETAGNA
1.148,00
AUSTRIA
33,00
418,00
SPAGNA
19,70
BELGIO
196,30
LUSSEMBURGO
10,10
IRLANDA
159,00
PORTOGALLO
6,20
OLANDA
143,80
4,10
FRANCIA
128,20
GRECIA
3,40
45,60
ISLANDA
0,8

L’Italia si piazza agli ultimi posti, come si evince dalla seguente tabella, in relazione agli aiuti concessi al suo sistema bancario.
Per inciso oltre ai problemi sopra evidenziati, il sistema bancario Europeo soffre in maniera strutturale degli squilibri generati dalla moneta unica, e ciò rende le nostre banche ancora più fragili. In altre parole, moneta unica e liberalizzazione dei movimenti del capitale, consentono agli istituti di credito di accumulare liquidità in maniera spropositata rispetto agli impieghi produttivi possibili, ciò accentua la formazione di bolle speculative (Spagna, Grecia, Irlanda) e rende l’unione monetaria endemicamente debole. 
Un esempio, poco citato da media nazionali, della follia del nostro sistema è rappresentato dal caso Cipro. Cipro è un paradiso fiscale che ospita numerose società off-shore, ed in particolar modo rappresenta un paese rifugio per i capitali in uscita dalla Russia, capitali appartenenti agli oligarchi e alle mafie che in questi anni si sono arricchiti dopo la caduta del comunismo. Secondo l’intelligence tedesca, i russi hanno depositato sull’isola 26 miliardi di dollari (20 miliardi di euro circa), cifra che supera di gran lunga il Pil locale, pari a 17 miliardi di euro. 
Trovare impieghi produttivi per questa mole di capitali, in un isoletta grande meno di 10.000 km quadri, è impresa ardua; per questo le banche cipriote hanno reinvestito tutto in Grecia, finendo stritolate dopo lo scoppio della crisi ellenica. A questo punto il governo ha chiesto aiuto alla Trojka, e di conseguenza, i contribuenti italiani saranno chiamati a ripianare i crediti degli oligarchi russi verso le banche cipriote.
La morale della favola è che come al solito gli stati, e le loro popolazioni, sono le vittime sacrificali di un sistema finanziario autoreferenziale ed irresponsabile; approfittare della vicenda MPS per attaccare il PD o l’ingerenza della politica, serve a legittimare ulteriormente questo sistema. 
Bersani, d’altro canto, se vuole veramente sbranare gli avversari, cominci da una profonda autocritica della stagione delle privatizzazioni, solo dopo aver fatto i conti con gli errori del passato la sinistra potrà tornare ad essere credibile.

20/01/13

Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali”



L’AGENDA DELL’AUSTERITY

“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!
COSA C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.

(Tratto da http://cambiailmondo.org/2012/08/04/paul-krugman-usano-il-panico-da-deficit-per-smantellare-i-programmi-sociali/)

06/01/13

Monti: Il cavallo di trojka.

È' passato poco più di un anno da quando Mario Monti accettò l'incarico di guidare il governo del nostro paese, con il fine dichiarato di evitare il baratro finanziario a cui eravamo inevitabilmente condannati.
Per fare questo il nuovo governo era chiamato ad una sfida ardua, ossia mettere in ordine i nostri conti pubblici in breve tempo al fine di rassicurare i mercati. 
Chi sono i mercati?
 Il termine mercato infatti é un po' vago, in realtà si tratta di una decina di grosse banche accreditate ad operare dalla banca d'Italia sul mercato primario, cioè a partecipare alle aste in cui vengono collocati i titoli di nuova emissione. Qui sotto l'elenco completo fornito dalla Banca d'Italia.

Perché allora queste banche erano così nervose? 

La Grecia aveva un rapporto debito/PIL stabile nell'ultimo decennio, l'Italia addirittura in discesa con il picco minimo di 103% nel 2007(secondo governo Prodi), Spagna ed Irlanda erano dei paesi modello dal punto di vista delle finanze pubbliche con valori rispettivamente del 40% e del 25%. Perché allora la speculazione si accanisce contro questi Paesi? Perché proprio ora che stanno seguendo un percorso di risanamento e non prima quando i conti non erano così in ordine?
La verità purtroppo é che su questa crisi e sulle reali motivazioni che hanno portato al governo Monti sono state dette una serie di menzogne tali da far rabbrividire il buon vecchio Joseph, parlo di Goebbels naturalmente.
Purtroppo la versione edulcorata che é stata spacciata dai media nazionali, con la complicità ingenua o maliziosa di Grillo (io ancora non l'ho capito) vede gli stati, anzi la castacriccacorruzzionespesapupplicabrutta (cit. Alberto Bagnai), nella veste dei responsabili del dissesto dell'Eurozona.

Il rapporto della Commissione europea sulla sostenibilità del debito dei Paesi dell’Unione fa giustizia di molti luoghi comuni ( link di Alberto Bagnai , qui articolo su pubblico), offrendoci un quadro inaspettato del nostro Paese. Contrariamente a quanto ci era stato raccontato, l’Italia non è mai stata veramente in pericolo fallimento. Dal 2009 e ancor di più nel 2010 e 2011 l’Italia si è tenuta ben al disotto del valore critico di pericolo, mentre la Gran Bretagna era nettamente al di sopra nel 2009, e la Spagna lo è stata nel 2009 e nel 2012.

Ritorniamo al punto, perché allora i mercati erano così nervosi?
Ciò che i media nazionali non vi dicono é che i mercati più che al debito pubblico sono attenti alle dinamiche del debito estero (in maggior parte privato), determinato dagli squilibri commerciali all'interno dell'Eurozona.
Il motivo di quest'asimmetria mediatica ha una semplice spiegazione; se analizziamo i problemi dell'Eurozona dal punto di vista del debito privato, scopriamo che i veri colpevoli sono le banche e le istituzioni Europee che hanno permesso e lucrato su questi squilibri commerciali. Quindi paradossalmente chi ha causato l'implosione di un continente, burocrati e banchieri, si ergono a moralizzatori e pretendono di interferire e soppiantare i governi democraticamente eletti.
Per comprendere questo punto allego i grafici del saldo delle partite correnti per i paesi presi in esame.
Grafico 1

Grafico 2
Grafico 3
Vediamo come i deficit commerciali di Italia e Grecia seppur con proporzioni differenti siano negativi. Al contrario la Germania ha accumulato ingenti surplus. Nel terzo grafico un raffronto in miliardi di dollari tra Italia e Germania.
Da notare come la Francia, malgrado la solita retorica imperialistica, stia cominciando a perdere posizioni ed infatti la società di rating Moody's ha tolto la famigerata tripla A. Questo conferma ulteriormente come i mercati siano attenti più agli squilibri commerciali che al debito pubblico.

Perchè è successo?
Negli ultimi 10 anni le banche tedesche e francesi hanno invaso di capitali i paesi periferici, attraverso il credito al consumo ( Prestitempo ad esempio é del gruppo deutschebank),  attraverso i prestiti interbancari ed aprendo numerose filiali direttamente. In questo modo lucravano tassi di interesse più alti rispetto a quelli esistenti in Germania, e nel contempo finanziavano l'acquisto di manufatti tedeschi (basti pensare all'acquisto di un auto generalmente finanziata da una banca legata al costruttore). Questo giochetto ha consentito alle banche tedesche di accumulare enormi profitti (ma anche le banche greche Italiane o Spagnole guadagnavano generose commissioni) ed all'industria manifatturiera tedesca, ingenti surplus commerciali.

Questo grafico invece riporta l'esposizione di ogni singolo paese nei confronti degli stati a rischio default. Guardate in vetta abbiamo Germania, Francia, Uk ed Olanda.
 
Grafico 4


Perché allora i mercati e la trojka impongono Monti e l'Austeritá visto che sanno bene come il problema non sia di finanza pubblica?
Arriviamo al punto, i mercati erano nervosi perché temevano il crollo dell'euro ed infatti lo spread non fa altro che prezzare tale rischio. Se un investitore teme di essere ripagato con una valuta deprezzata, la lira, la dracma o la pesetas ti farà pagare oltre all'interesse il rischio di deprezzamento.
I mercati quindi erano nervosi perché temevano che i governi nazionali, giustamente si sarebbero rifiutati di far pagare il conto ai propri cittadini visto che gli errori erano stati commessi dalle istituzioni finanziarie, e ciò avrebbe portato all'implosione della moneta unica. Il governo tedesco, nonostante abbia guadagnato ingenti surplus commerciali da questi squilibri ( 200 miliardi di euro annui, mentre la temutissima Cina si attestava sui 160) ha preferito ergersi a moralizzatore, bacchettando la Grecia ed imponendo  misure di austerità, anziché venire in soccorso ad un popolo stremato ; a causa di questa miope scelta, la crisi si é propagata anziché arrestarsi rendendo i mercati ancora più nervosi. Il problema é che mentre la situazione greca era perfettamente gestibile - le banche tedesche erano infatti esposte per 53 miliardi, quelle francesi per 32 - il default Spagnolo avrebbe messo una pietra tombale sul l'unione monetaria; infatti l'esposizione del sistema bancario spagnolo nei confronti dei creditori, principalmente tedeschi e francesi, si attesta sulla spaventosa cifra di 780 miliardi di Euro (vedi grafico 4). In poche parole era impossibile per i contribuenti spagnoli accollarsi un simile onere senza andare in default ed uscire dall'unione monetaria.

Proviamo ad unire i puntini; qual'era allora il ruolo di Mario Monti ?
Monti non è stato imposto dalla trojka per ridare credibilità al nostro paese;  come certifica la commissione europea le nostre finanze erano sotto controllo ed il nostro sistema bancario  era poco esposto nei confronti di Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia. Il ruolo di Monti è stato quindi esclusivamente quello di garantire la copertura del fondo salvastati, per una quota pari a 127 miliardi euro, di cui già 20 interamente versati nel 2012. Per garantire questo gettito è stata anticipata l'IMU e di fatto trasformata da imposta prettamente comunale in una strana forma di patrimoniale, in quanto colpisce indiscriminatamente a prescindere dal reddito.



La Grecia o l'Irlanda sono già fallite, tuttavia i loro titoli una volta giunti a scadenza vengono coperti dai prestiti dei contribuenti Europei ed in particolar modo italiani. Questi sono soldi prelevati dalle casse dello stato ed infatti nonostante una manovra di 50 miliardi di euro complessivi il nostro debito pubblico é aumentato. Non un solo euro di questa manovra è stato usato per ridurre il debito e questa é una verità contabile evidente che nessuno può negare.

Il seguente grafico rappresenta la percentuale di copertura del fondo salva stati da parte dei paesi europei e delle istituzioni finanziarie.

Grafico 5
 
Per inciso alla base di questi sfraceli c'è il dogma della libera circolazione dei capitali. Infatti da quando nessun freno o limite è posto alla circolazione dei capitali , gli stati possono gonfiarsi di liquidità e poi scoppiare scaricando sui cittadini gli oneri maggiori. Per fortuna anche in questo caso il Fondo monetario Internazionale, quindi il gota dell'ortodossia economica, si è accorto che qualcosa non và ed ha cominciato a dubitare sull'efficienza dei mercati e sulla necessità di mettere qualche freno.


Nei seguenti grafici possiamo notare quali banche e quali paesi sono maggiormente esposti; l'Italia non è nemmeno citata, tuttavia se guardiamo la percentuale di copertura del fondo salvastati (grafico 5) ci accorgiamo che i contribuenti Italiani insieme a quelli Francesi e Tedeschi avranno l'onere maggiore.






Oltre a questo Monti ha abbozzato qualche misura di politica economica, ricordiamo le famose riforme; visto che lui sa bene che il problema non sono le finanze pubbliche ma gli squilibri commerciali ha attuato scientemente politiche recessive al fine di determinare un drastico calo dei consumi. 
Qual'é allora il fine di ciò ? 
Semplice la nostra bilancia dei pagamenti, ricordo saldo import-export, era in passivo (grafici 1-2-3). Per migliorare il nostro saldo commerciale si poteva agire su due fronti: in primo luogo si possono rilanciare l'esportazioni chiedendo al nostro più agguerrito competitor commerciale, la Germania, di evitare forme di dumping salariale che contraggono la loro domanda interna; cioè si poteva chiedere all'unione Europea di adottare uno standard retribuitivo Europeo, come chiede ad esempio il Prof Brancaccio (nel libro l'austerità é di destra) in modo da evitare una guerra fratricida in cui è più bravo chi riesce nel proprio paese a massacrare di più  i propri lavoratori. Secondo altri economisti, come ad esempio Vladimiro Giacchè , si potrebbe addirittura denunciare la Germania per pratica commerciale scorretta. Infatti non tutti sanno che in Germania, con le riforme Hartz è stato di fatto legalizzato il lavoro nero; nel 2002 furono introdotti i cosiddetti minijob, cioè lavori sottopagati a 400 euro senza contributi e garanzie per il lavoratori; tuttavia per renderlo sostenibile dal punto di vista sociale lo stato è intervenuto sostenendo i redditi con un massiccio intervento pubblico; è stato introdotto infatti il reddito di cittadinanza il quale costa a regime 45 miliardi di euro. Per fare questo la Germania nel 2002 ha sforato i vincoli Europei, senza subire ammende o ripercussioni; per questo fa tenerezza chi in Italia decanta il modello tedesco e nel contempo chiede una riduzione della spesa pubblica. Questa scelta tuttavia è scorretta dal punto di vista dei trattati comunitari in quanto si qualifica come un aiuto di stato all'industria tedesca. Per inciso anche l'Irlanda ha attuato forme di dumping fiscale che hanno danneggiato i partner Europei; pertanto è paradossale che dopo aver sottratto capitali alla periferia attraverso una tassazzione eccessivamente bassa, adesso la periferia deve scendere in suo soccorso per garantire gli scoperti bancari. In un Europa seria e rigorosa queste atteggiamenti aggressivi e non cooperativi dovevano essere sanzionati prima. 

Naturalmente un governo voluto dalla Merkel difficilmente interveniva in chiave dialettica su tale versante.
Quindi il nostro bravo professore contraendo la domanda interna attraverso politiche recessive è riuscito a migliorare la nostra bilancia dei pagamenti in quanto i nostri import sono scesi considerevolmente, ripeto a causa del tracollo del mercato interno.  I dati del conto corrente della Bilancia dei Pagamenti forniti dalla Banca d’Italia segnalano un miglioramento del saldo passivo da 55,5 a 18,7 miliardi di euro.
Purtroppo sul mercato interno si basano migliaia di piccole aziende le quali sono state costrette a chiudere i battenti o a licenziare per reggere il colpo.
Infine se il problema erano le finanze pubbliche perché la prima riforma è stata quella del mercato del lavoro? In economia esiste una legge ben precisa chiamata curva di Phillips che lega in maniera rigorosa inflazione e disoccupazione. Siccome, ripeto, il nostro professore sapeva che il problema sul lungo periodo era determinato dai differenziali nei tassi di inflazione tra Italia e Germania, seguendo la curva di Phillips ha cercato di attutire questo differenziale spingendo la disoccupazione ai massimi storici (ricordo 11% e 35% quella giovanile).
Giunti al punto vi sembra normale che un governo menta spudoratamente ai propri concittadini sui reali obbiettivi di politica economica? Vi sembra normale che un presidente del consiglio non votato dai cittadini sfrutti un anno di governo per lottizzare la RAI e scendere a gamba tesa nell'agone politico?
Se credete che la credibilità dipenda dal loden vi sbagliate di grosso; Mark Twain ad esempio esortava a ricordare un famoso proverbio: i bambini e gli sciocchi dicono sempre la verità. La conseguenza logica è ovvia: gli adulti e i saggi non la dicono mai.



P.S. Oggi é morto Luigi Spaventa Ex ministro del Bilancio nel governo Ciampi, ex presidente della Consob, professore di economia politica che così si esprimeva nel 2010 in merito agli errori commessi dall'UE: "Si è occupata solo del profilo fiscale e non degli altri fattori di squilibrio dell'area. La crisi non l'ha provocata solo la Grecia e basta: questa è stata la scintilla, un caso estremo di bugie continue sulla reale situazione del bilancio pubblico. E vale ricordare che fino al 2007 Irlanda e Spagna erano modelli di virtù fiscale: bilancio in pareggio e debito pubblico tra i più bassi dell'Unione e tutti a dire: vedi come sono bravi quelli. Peccato che stavano commettendo spropositi sul versante dell'espansione del credito, inseguendo il boom edilizio. Di questa espansione senza freni del credito non si occupava la Commissione, e neanche la Banca centrale europea. Un'espansione che li ha portati al fallimento. La tigre celtica è diventata un topolino.L'Irlanda meriterebbe qualche punizione. I suoi guai derivano anche dalla mossa che fece nel 2008, nel pieno della crisi, quando decise, senza consultazioni con i partner europei, di dare copertura al 100 per cento ai crediti vantati verso le banche. E' questo che le sta costando caro oggi. Se potesse dare una sforbiciata ai creditori delle banche, starebbe meglio".
Ing. Andolina Salvatore

24/12/12

Smontiamo l’agenda Monti

Finalmente questa famigerata agenda, più introavabile di quella rossa di Borsellino, è stata resa pubblica e quindi possiamo analizzarla per capire le incongruenze alla luce di un anno di governo tecnico.
Risulta tuttavia paradossale scoprire che a scriverla non è stato Monti, bensì un parlamentare del PD, Pietro Ichino e che un dilettantesco staff non sia riuscito neanche a modificare il PDF al fine di nascondere la fonte. Infatti scaricato il documento basta cliccare con il tasto destro su proprietà e scoprire l’arcano. 

L’inizio promette bene, si parte da “Costruire un’Europa più integrata e solidale, contro ogni populismo”, cioè si parte dal nulla.
Per capirci bisogna comprendere cosa significhi un'Europa più solidale ed Integrata.
Partiamo dalla recente storia italiana e dall’unificazione che ha portato alla creazione di un mostro bicefalo, con un area progredita ed un altra sottosviluppata. Come abbiamo più volte sottolineato il SUD Italia è un importatore netto di beni (in prevalenza dal Nord Italia) per circa il 14% del PIL(vedi qui) tuttavia grazie alla fiscalità generale si evita l’implosione, attraverso trasferimenti di risorse dal Nord al Sud Italia. Ogni anno avviene un trasferimento netto di 45 miliardi di euro dal Nord verso il Meridione e ciò è alla base della retorica leghista. Tuttavia da uno studio commissionato da Unicredit, redatto dall’economista Paolo Savona emerge che su 72 miliardi l’anno di spesa fatta dai cittadini del Sud, ben 63 sono di beni e servizi prodotti al Nord. Volendo essere più chiari c’è una reciproca convenienza fra classi dirigenti del Nord e del Sud Italia affinchè questi trasferimenti di risorse non generino imprese in grado di competere e riequilibrare gli squilibri macroeconomici regionali.

Ora è evidente che una maggiore integrazione fiscale è necessaria per creare un Europa veramente solidale ed integrata, ma come abbiamo visto nell’esempio Italiano, ciò ha un costo.
L’economista francese Sapir ha calcolato l’ammontare dei trasferimenti federali necessari a tenere in piedi l’eurozona ed è arrivato alla fantasmagorica cifra di 257 miliardi di euro annui. “Inoltre  la Germania dovrebbe sopportare il 90% del finanziamento di questi trasferimenti netti, ossia tra i 220 e i 232 miliardi di euro all'anno (pari a un totale dai 2.200 ai 2.320 miliardi in dieci anni), tra l' 8 % e il 9% del suo PIL. Pertanto, siamo in grado di comprendere la strategia della Merkel che cerca di ottenere un diritto di controllo sui bilanci degli altri paesi, ma si rifiuta di prendere in considerazione un’unione di trasferimento, che sarebbe d'altra parte la forma logica che dovrebbe assumere una struttura federale per la zona euro.”
Traducendo in parole più semplici è assurdo pensare che la Germania si accolli 2300 miliardi di trasferimenti per aumentare la competività di paesi definiti in maniera razzista PIGS e che vede unicamente come mercati di sbocco. Fra l’altro nel caso dell’Italia si tratta di finanziare il suo più forte competitor commerciale, essendo il nostro paese il secondo in Europa per industria manifatturiera. Quindi casomai è populismo non dire ciò ai cittadini Italiani nascondendosi dietro la retorica del più Europa.
Andando avanti nella lettura del PDF vediamo che strategia ha in mente Monti (Ichino) per chiedere un’Europa più solidale; cito testualmente ”Per contare nell’Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo”. Quindi la strategia migliore sarebbe quella dello scodinzolare dietro Frau Merkel affinchè ci conceda qualche biscottino come un cagnolino ben ammaestrato. Secondo voi questa strategia può portare la Germania ad accollarsi 230 miliardi di trasferimenti annui? Non sarebbe più logico far valere la posizione forte dell’Italia, battendo evidentemente i pugni sul tavolo  e facendo tra l’altro notare ai tedeschi come dalla nascita dell’eurozona è stata la periferia a foraggiare il loro export?  Vogliono difendere gli interessi Italiani con la strategia dei “Pugni in tasca “?

Andiamo adesso al sodo e leggiamo gli obbiettivi di politica economica:

a. attuare in modo rigoroso a partire dal 2013 il principio (di cui al nuovo articolo 81 della nostra Costituzione) del pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto degli effetti del ciclo economico sul bilancio stesso;

b.ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettvi concordati tenuto conto del fatto che, realizzato il pareggio di bilancio e in presenza di un tasso anche modesto di crescita, l'obiettivo di riduzione dello stock del debito sarebbe già automaticamente rispettato);

c. ridurre a partire dal 2015, lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del prodotto interno lordo.

d. proseguire le operazioni di valorizzazione/dismissione del patrimonio pubblico, in funzione della riduzione dello stock del debito pubblico.
 
Quanta originalità, quanto acume, e poi vengono a parlare di merito; praticamente questi quattro punti sono scopiazzati interamente dal famigerato fiscal compact (basta andare su wikipedia per rendersene conto ) cioè quella norma che ha plagiato inesorabilmente la nostra costituzione, la stessa che Benigni ipocritamente definisce la più bella del mondo. Malgrado nessun fondamento macroeconomico e malgrado numerose riserve di carattere costituzionale nella nostra costituzione è stato inserito un vincolo di bilancio, roba da far impallidire anche il più goliardico dei costituzionalisti.
La nostra costituzione fondata sul lavoro in base all’art. 1 e che all’art. 4 annovera tra i principi fondamentali il diritto al lavoro stesso , mal si concilia con la modifica dell'art. 81 (seconda parte Cost.) attuata con legge di revisione costituzionale del 2012, che richiede il pareggio di bilancio e vieta l'indebitamento pubblico, salvo casi "eccezionali", e così facendo ci impedisce di fare proprio quelle politiche necessarie per sostenere l'occupazione nelle fasi di crisi, alle quali ci impegna la Costituzione più bella del mondo.
Giuseppe Guarino, esperto giurista (all’Università di Sassari ebbe come assistente Francesco Cossiga, poi a Roma esaminò Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica, e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea), già ministro delle Finanze e dell’Industria, recentemente ha affermato “Esistono ragioni politiche, economiche e culturali per rifiutare la dottrina dell’austerity che si è imposta in Europa, ma prim’ancora c’è una motivazione giuridica che dovrebbe obbligare il governo italiano – questo in carica e soprattutto quello che gli succederà – a liberarsi dagli attuali vincoli che gravano sulla politica di bilancio. A meno di non voler continuare ad “attentare alla Costituzione dell’Unione europea”.
 
Lasciamo da parte le riserve di carattere giuridico e concentriamoci sull’aspetto economico della proposta. Il primo punto, nonostante non abbia nessun fondamento macroeconomico, viene assunto al rango di verità rivelata e stabilisce che gli stati non possono attuare politiche cosidette anticicliche, per contrastare gli effetti recessivi delle crisi. Badate bene la stessa Germania nel 2002 per uscire dalla recessione violò queste regole ed ora pretende che siano inserite nella costituzione dei paesi periferici per condannare milioni di persone al dogma dell’Austerità. 

Il secondo e terzo punto sono ancor più pericolosi; ridurre di un ventesimo lo stock di debito significa tosare i contribuenti Italiani per 100 miliardi di euro l’anno per i prossimi 10. In altre parole dopo aver azzerato la nostra economia con una manovra recessiva di 40 miliardi fatta esclusivamente di sole imposte si sta dicendo chiaramente che l’obbiettivo è ben più ambizioso, ossia quello di ridurre l’Italia ad un paese sottosviluppato attraverso 100 miliardi di manovre l’anno.
Per essere ancora più chiari, l’unico pazzo criminale al mondo, che ha preteso di rientrare dal debito pubblico in maniera tanto rapida è stato Ciaucescu in Romania. In meno di otto anni, a tappe forzate, ha completamente cancellato il debito pubblico.Quando ha annunciato il risultato, è stato applaudito a lungo. Era il 31 marzo del 1989. Nove mesi dopo lo fucilarono.
Chiunque abbia intenzione di votare questi individui almeno ora sà qual’è il prezzo da pagare.

Il quarto punto è il solito ritornello delle dismissioni dei nostri gioielli di famiglia. Ricordiamo che dal 92 al 2005 abbiamo ceduto circa 889 miliardi di euro di beni mobili pubblici ed il nostro debito è passato in questi anni da 887 miliardi a 2000. Il paradosso è che in Italia ormai da svendere c’è ben poco e gli appetiti sono esclusivamente concentrati su ENI, ENEL e Finmeccanica, o meglio sulle quote residue in mano ancora allo stato. Privatizzando ENI, abbiamo ottenuto lo straordinario risultato di far trasferire le sedi legali delle sue controllate in Lussemburgo e così adesso non versano un euro nelle casse dell’erario. 

Potremmo evitare di andare avanti in quanto il resto sono sole parole buttate via, una dietro l’altra senza uno straccio di studio a sostegno ma solo per riempire le rimanenti pagine; tuttavia arrivati a pagina 9 troviamo la barzelletta degli IDE (Investimenti diretti esteri):

Bisogna puntare a raggiungere un livello di investimenti diretti esteri vicino alla media europea, che potrebbe portare fino a circa 50 miliardi di euro in più di investimenti l’anno.
Tradotto il debito pubblico è brutto, dobbiamo eliminarlo massacrando i cittadini, però in compenso il debito privato (gli IDE) è cosa buona e giusta. Purtroppo l’economista Nouriel Roubini, insieme all’Italiano Paolo Manasse ha dimostrato come alla base delle maggiori crisi di debito verificatesi nel mondo ci sia un eccesso di indebitamento estero (privato). Roubini ha calcolato la soglia di rischio nel 50% rispetto al PIL di indebitamento estero, soglia che mentre l’Europa dormiva, la Grecia aveva già raggiunto nel 2002 (cit. Alberto Bagnai). Il paese modello di questo paradigma sgangherato è l’Irlanda, regina indiscussa in europa degli IDE. Purtoppo la simpatica Irlanda, nonostante conti pubblici in perfetto ordine (25% rapporto debito/PIL) è saltata in aria proprio come previsto da Roubini. Riprendo il concetto attraverso le parole di Bagnai:
“L’imprenditore estero che viene a impiantare un’attività produttiva, creando ricchezza e portando lavoro (se è bravo), lo fa per guadagnare un profitto (elevato se le tasse sono basse). Questo profitto sarà in parte reinvestito, in parte speso nel paese, e in buona parte rimpatriato verso il paese estero di residenza dell’imprenditore. Per la bilancia dei pagamenti i profitti rimpatriati all’estero sono redditi passivi, che remunerano il “debito” contratto impiegando capitale estero sotto forma di Ide.”
Ora capite perchè è pericoloso proporre ricette a base di indebitamento estero dopo una crisi spaventosa generata proprio dall’eccesso di questo tipo di indebitamento?

Proseguendo a pag. 12 si parla di Agricoltura, ma alla luce di quanto detto sopra sugli IDE, non si comprende come alla base del collasso del nostro sistema agroalimentare ci sia proprio l’eccessiva presenza della grande distribuzione francese che stritola i nostri piccoli produttori.

Del mercato del lavoro si parla a pagina 15, anche se non si comprende come un governo che ha spinto la disoccupazione all’11% e quella giovanile al 35% possa seriamente essere convincente su questi temi. Parlano di Flexicurity, di flessibilità sicura, dimenticando che gli unici paesi a sperimentarla con successo, come la Svezia, hanno anche una Banca sovrana, una moneta propria e spesa pubblica ampiamente superiore a quella Italiana; cioè sono paesi non in linea col paradigma neoliberista di cui è intrisa l’agenda Monti.

L’ultima chicca a pagina 22: I cittadini devono essere meno comprensivi verso la cattiva politica e i comportamenti non virtuosi di coloro che hanno responsabilità politiche, a tutti i livelli.

Ottimo direte, sounds good; sorge tuttavia un piccolo problema in dodici mesi i membri del governo  annoverano cinque indagati, ma soltanto due si sono dimessi: il sottosegretario Carlo Malinconico, dopo tre mesi (vacanze luxury pagate a sua insaputa) e l'altro sottosegretario, alla Giustizia, Andrea Zoppini, indagato per concorso in frode fiscale e dichiarazione fraudolenta.
Soprassediamo sulla casa ai Parioli comprata a metà del valore di mercato e ad un prezzo più basso del mutuo richiesto dal ministro dell'Economia Vittorio Grilli.
Poi abbiamo il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi  accusato di aver  comprato a prezzo stracciato (180 mila euro per 109mq) un appartamento vista Colosseo, grazie a una sentenza del Consiglio di Stato, di cui all'epoca il ministro era presidente di sezione.
Su Passera, superministro di Monti, è passato lieve come una piuma l'avviso di inizio indagini partito dalla Procura di Biella («un atto dovuto») per presunti reati fiscali commessi da amministratore di Banca Intesa.
Il sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, è finito tra gli indagati della procura di Bari su presunti concorsi truccati, mentre Roberto Cecchi, sottosegretario ai Beni culturali, è sotto indagine della Corte dei conti per un presunto danno erariale. (fonte Dagospia)

Per concludere l’agenda parla di merito, infarcendo un nobile concetto di retorica questa si populista. Anche qui nascono delle perlessità; ad esempio la figlia del ministro che ha invitato i giovani Italiani ad essere meno choosy, Silvia Deaglio è ricercatrice dell'Hugef finanziato dalla Compagnia di San Paolo (dove la madre era consigliere di sorveglianza),ed ha vinto un concorso per professore associato con una commissione presieduta dal presidente dello stesso Hugef, che la premiò anche per «l'ottima capacità di attrarre fondi di finanziamento per la ricerca». Poi è stata chiamata dall'Università di Torino. Dove sono professori ordinari sia la madre che il padre. Anche il viceministro Michel Martone (quello dei giovani «sfigati») è finito sotto tiro per un concorso vinto all'Università.
In definitiva si tratta di un agenda che di fatto ripropone gli stessi schemi  neoliberisti che hanno portato un continente alla deflagrazione, e per di più portata avanti in modo subdolo da personaggi che nel corso degli ultimi anni non si sono distinti per autorevolezza e specchiata levatura morale.
Si tratta di un agenda che di fatto mette al primo posto le esigenze dei paesi creditori, delle banche e che per questo chiede a nostri cittadini un sacrificio inutile e prolungato. 
Solo smontando l’Agenda Monti l’Italia potrà finalmente crescere, e poi a fine anno le agende le regalano i banchieri, quindi diffidate.

Ing. Andolina Salvatore