27/11/07

Osservazioni sulla Variazione di Bilancio

Alla luce della delicata situazione contabile in cui riversa il nostro , invito la maggioranza consiliare a fermare una variazione di bilancio che , se approvata può portare al collasso finanziario del nostro ente.
da un attenta analisi infatti emerge che quasi tutte le previsioni di spesa non sono state rispettate anzi in alcuni casi si è sforata la previsione del 200% e 300%; questo testimonia la mancanza di un controllo accurato dei vincoli di spesa , con responsabilità dirette sia poliiche, che amministrative; d'altro canto ciò determinerà un peggioramento della situazione contabile; se a ciò si aggiungono i tagli ai trasferimenti, la necessità di coprire l'impennata della bolletta energetica, i costi aggiuntivi per gli RSU, la quota di compartecipazione ATO, il quadro che emerge è drammatico; va inoltre notato che stiamo per raggiungere il tetto di scopertura massimo consentito dalla banca; infatti gli interessi sono lievitati notevolmente (al punto che si prevede nella variazione di impinguare il capitolo relativo del 300%) di conseguenza se questa variazione verrà approvata il rischio serio è che alla fine dell'anno non saremo in grado di pagare nemmeno gli stipendi ai dipendenti, in quanto la banca chiuderà inevitabilmente i rubinetti.
Infine malgrado le garanzie date in aula si prevede di coprire le maggiori spese intervenute, non realizzando risparmi e attuando una seria politica di tagli agli sprechi, bensì andando a intaccare l'avanzo primario, operazione che lo stesso collegio dei revisori ha sconsigliato fortemente pochi giorni fa in sede di consuntivo. Come ho più volte precisato, in attesa di una precisa analisi dei residui attivi, è pericoloso ed irresponsabile andare ad intaccare l'avanzo primario in quanto il rischio serio è che si creino buchi finanziari difficili da coprire in futuro.
Invito quindi l'amministrazione a ritirare la proposta ed a attuare al più presto una politica di bilancio sobria e mirata allo sviluppo , prima che si arrivi al dissesto finanziario.

Salvo Andolina

LA FATICA DEL LAVORARE BENE IL MERITO E IL SALARIO di PIETRO ICHINO

I l presidente di Confindustria, Montezemolo, ha rilanciato con forza, in questi giorni, la parola d’ordine della meritocrazia ; e il segretario della Cisl, Bonanni, gli ha risposto positivamente: «Il nostro obiettivo è lavorare meglio e di più, per produrre e guadagnare di più». Su questo tema, invece, la Cgil resta abbottonata. Questa sua riluttanza non risponde a ragioni tattiche contingenti: ha radici profonde nella cultura della sinistra. E niente affatto disprezzabili. A sinistra l’idea dominante è che la produttività non sia un attributo del lavoratore, bensì dell’organizzazione aziendale in cui egli è inserito. «Prendi un ingegnere bravissimo e mettilo a spaccare le pietre: otterrai probabilmente un lavoratore molto meno produttivo di uno spaccapietre analfabeta». Se, poi, nessuno domanda pietre, entrambi stanno fermi e la produttività di entrambi è zero. Nel dibattito di tutto lo scorso anno sui nullafacenti del settore pubblico, questo è stato immancabilmente il concetto che veniva contrapposto all’idea di commisurare le retribuzioni anche ai meriti individuali: «Il risultato penosamente basso di molti uffici — si è detto da sinistra — ma anche il difetto di impegno di molti impiegati dipendono dal pessimo livello di organizzazione e strumentazione».
C’è del vero in questo argomento; ma a sinistra si cade spesso nell’errore di fermarsi qui. È l’errore che il grande Jacovitti rappresentò con l’indimenticabile vignetta dove una mucca dall’aria torpida e pigra diceva: «Sono una mucca per colpa della società». La realtà è che la produttività del lavoro dipende da entrambe le variabili: sia dall’organizzazione, e talvolta da circostanze esterne incontrollabili, sia dalla competenza e dall’impegno del singolo addetto. E conta anche il suo impegno nel cercare l’azienda dove il proprio lavoro può essere meglio valorizzato.
Commisurare interamente la retribuzione al risultato significa, certo, scaricare sul lavoratore tutto il rischio di un esito negativo che può non dipendere da suo demerito. Ma garantire una retribuzione del tutto stabile e indifferente al risultato significa cadere nell’eccesso opposto: così viene meno l’incentivo alla fatica del far bene il proprio lavoro e del muoversi alla ricerca del lavoro più utile, per gli altri e per se stessi. Questa stabilità e indifferenza della retribuzione è la regola oggi di fatto imperante in tutto il settore pubblico, ma troppo largamente applicata anche in quello privato, per effetto di contratti collettivi che lasciano uno spazio del tutto insufficiente al premio legato al risultato. E questo è uno dei motivi — insieme, certo, a tanti altri difetti strutturali e imprenditoriali — della bassa produttività media del lavoro nel nostro Paese.
Per uno stipendio magari basso, che però matura qualsiasi cosa accada, ci sono sempre i lavoratori che si impegnano a fondo, se non altro per rispetto verso se stessi, e si ribellano alle situazioni di improduttività; ma ce ne sono sempre anche altri che se la prendono comoda, fino al limite del non far nulla. Un’iniezione di meritocrazia nei contratti collettivi e individuali fa certamente bene anche a questi ultimi.


Editoriale Corriere della sera di Pietro Ichino